Uccisi con lui anche la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente di scorta Domenico Russo
«Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli».
Queste le parole del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso il 3 settembre 1982 a Palermo, con la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente della scorta Domenico Russo, nell'agguato mafioso di via Carini, a Palermo. Il genarale e la moglie morirono sul colpo, Russo dopo 12 giorni.
Carabiniere figlio di carabiniere, Dalla Chiesa ha passato la sua vita a combattere la malavita del nord, le brigate rosse e la mafia siciliana. Era a Saluzzo il 27 settembre del 1920, suo padre era un ufficiale dei carabinieri, che diverrà vicecomandante generale dell'Arma come poi il figlio. A 22 anni indossa la divisa e riceve il suo primo incarico in Campania e in occasione del terremoto del Belice, nel 1968, organizza i soccorsi. A quel tempo la protezione civile non esisteva.
Arriva poi in Sicilia dove la situazione è drammatica: il 16 settembre 1970 scompare il giornalista Mauro de Mauro, il 5 maggio 1971 viene ucciso il procuratore Pietro Scaglione.
Dalla Chiesa conduce le indagini e fa emergere il "Rapporto dei 114", una vera e propria mappa dei nuovi e vecchi capimafia, in cui emergono per la prima volta nomi che torneranno spesso nella cronaca nera.
Nel 1973 Dalla Chiesa diventa generale e assume la guida della "divisione Pastrengo" a Milano, per fronteggiare il terrorismo rosso. Dopo il sequestro del giudice Sossi a Genova, infiltra nelle BR Silvano Girotto, detto ‘’Frate Mitra’’ (nato a Caselle Torinese nel 1939 e morto a Torino il 31 marzo scorso), che gli consentirà di arrestare i padri storici terrorismo rosso, tra cui Renato Curcio e Alberto Franceschini.
Nel 1981 Dalla Chiesa diventa vicecomandante dell'Arma; poi il 2 maggio 1982 viene nominato prefetto di Palermo, incarico che ricopre fino al tragico epilogo del 3 settembre.
«Non spero certo di catturare gli assassini a un posto di blocco, ma la presenza dello Stato deve essere visibile, l'arroganza mafiosa deve cessare».