Celebrare il 27 gennaio, Giorno della Memoria, risulta umanamente molto complicato dopo aver assistito e purtroppo ancora oggi vedere, l’evolversi della guerra che coinvolge Israele e le falange dei terroristi di Hamas nella striscia di Gaza.
Simon Wiesenthal, il famoso cacciatore di criminali nazisti esecutori del genocidio ebreo nei campi di sterminio tedeschi, fin dal primo momento ammonì tutti alla ricerca della giustizia senza lasciarsi trascinare da una seppur giustificata emotività che avrebbe potuto sfociare in vendetta: non uccidere l’assassino prima del processo!
In questo periodo storico risulta difficile, per quanto sta succedendo, per quanto finora visto, per il poco trapelato ed il molto nascosto nel conflitto nella striscia di Gaza, parlare di convivenza e diritti, di pace e di solidarietà. E' tutto così drammaticamente confuso, terribilmente opaco l’orizzonte nel quale domani potremmo tutti trovarci smarriti, privati delle certezze fin qui assimilate in tanti anni di mostre e manifestazioni a ricordo della Shoah, al pensiero di un
olocausto che pareva lontano e che purtroppo oggi ci riviene sbattuto in faccia come monito di lugubri corsi e ricorsi storici di vichiana antica memoria, spirale del male che riaffiora per dirci che non esistono i buoni ed i tolleranti, ma che in fondo l’uomo lega da sempre il suo destino all’opportunità di trasformare quello dei suoi simili in tragedie epocali, dove tutto è relativo ma sempre collegato agli istinti animaleschi dell’uomo.
Diventa così difficile scindere il pensiero giusto da quello errato, un tragico paradosso moderno che ci vieta moralmente per chi parteggiare, tutti partigiani inconsapevoli per chi combattere, orfani di quelle certezze che sin qui ci avevano accompagnato: ogni essere umano dovrebbe pensare che il male non nasce mai per caso ma è frutto di pensieri discriminanti che forse inconsapevolmente l’uomo si porta dentro da quando è nato ed ogni tanto esplode in fragorose ed immani atrocità di cui esso è regista, molte volte consapevole.
Non si può negare il passato, ma occorre rivedere il presente per poter crederci ancora. Il rancore che appare come vendetta da riversare sul prossimo è sempre stato il perno sul quale fissare l’odio momentaneo che inevitabilmente si trasforma in perenne condanna di chi in quel momento non può difendersi ed è quello che succede ad esempio alla senatrice Liliana Segre, attaccata ideologicamente da più parti da quando Israele ha iniziato gli attacchi in Palestina dopo i massacri di civili nei kibbuz nell’ottobre del 2024, operati da Hamas .
Un mantra che ci perseguita, che sopravvive al passato perché continuamente concimato con gli escrementi che ognuno di noi ha nell’intestino dell’anima, un qualcosa che a noi sfugge, ma che troppe volte si è manifestato in modo orrendo contro il prossimo, il compagno, l’amico, il fratello. Ci siamo nascosti per molto tempo dietro la convinzione che la pace sia un diritto, senza minimamente pensare che essa è la cosa più difficile da conquistare e la più rognosa da conservare per noi ed i nostri figli.
Il passato avrebbe dovuto insegnarci che il cancro peggiore che esista al mondo, non è solo quello responsabile della devastazione biologica che tormenta il nostro fisico, ma è quello di cui noi tutti siamo ignari ed insani portatori, ovvero il pregiudizio come arma di difesa della nostra ignorante coscienza quando questa ci appare minata da fantasmi del passato, un terrore individuale che inevitabilmente sfocia in vendetta. Esiste forse un modo di accettare il diritto quando questo si conquista con la vendetta? Che base morale può avere una libertà conquistata sull’impossibilità altrui di potersi difendere? Quali garanzie per il futuro possono ergersi incontaminate nelle coscienze degli uomini che accettano tutto questo?
Le risposte sono purtroppo estremamente semplici, basterebbe guardare il passato per capire che nei secoli, ogni trattato di pace tra nazioni in guerra erano scientemente ideati per farne scoppiare altri, ben più gravi e devastanti. Da sempre l’uomo si è garantito il diritto alla guerra stipulando con se stesso un patto di belligeranza che lo obbliga a sopravvivere al male di cui si ciba quotidianamente, basato sul desiderio di possedere un potere che possa sottomettere sempre e comunque qualcuno che non si può difendere, devastando le vite di milioni di persone colpevoli solo di essere nate dalla parte sbagliata della storia.
Parlare di pace oggi risulta estremamente difficile perchè essa sarà, come sempre, frutto di compromessi che inevitabilmente penalizzeranno una parte di quelle persone che un domani si sentiranno in diritto di adottare la vendetta come estrema difesa e la storia riprenderà il suo cammino sul sentiero della sofferenza.
In questi giorni ho avuto l’occasione di incontrare e conoscere una persona di cui avevo sentito molto parlare ma che non avevo mai avuto occasione di incrociare sul sentiero del ricordo. Si chiama Stella Bolaffi, classe 1934 come mia mamma, un sorriso rimasto giovane in un viso gentile ornato da occhi con sguardo profondo dal quale traspare un passato impossibile da dimenticare, una giovinezza vissuta nell’incertezza in cui gli ebrei come lei erano costretti ad una sorta di tragica roulette russa per sopravvivere, imposta dalle leggi razziali emanate nel 1938 in Italia dal governo fascista.
Un padre partigiano che amava la vita e per questo tollerante con il fratello nemico, un uomo che, come Wiesenthal, aveva capito che la giustizia, quella logica e giusta, non si può basare sull’istinto del momento: non uccidere l’assassino prima del processo e per questo Giulio Bolaffi ebbe anche molte delusioni dai compagni di lotta di quei giorni, in una Italia dissanguata di forze, ma anche di principi immolati nel nome della vendetta tanto attesa, quanto inutile.
A distanza di tanti anni da questi avvenimenti, ho scorto in Stella quel pragmatismo genuino che legato all’etica imposta dai valori della vita dovrebbe far nascere quei sentimenti di comprensione e fratellanza che dovrebbero sostituire ogni altra cosa atta ad offendere la dignità dell’uomo odierno. Mi chiedo come mai le poche persone ancora in vita che hanno vissuto e sopportato il male di allora, siano molto più moderate nel dialogo, nel linguaggio, negli atteggiamenti verso il prossimo, rispetto a tutti noi che di quel male non abbiamo subito e visto nulla. Il rischio concreto che, oggi come allora, possa sdoganarsi nella virilità dell’istinto isolato dalla comprensione e trasformata in arrogante presunzione di essere dalla parte buona della storia, possa privare come sempre del confronto moderato e civile basato sulla logica di una magari sola, ma pacata parola.
Esistono mondi contrapposti creati da noi stessi forse per dare un senso alla nostra vita, ignari che lo scontro che potrebbe nascere tra il bene ed il male potrebbe portarci verso la prossima catastrofe.