Il giorno dopo resta soprattutto il silenzio. Strade ancora punteggiate dai segni di una giornata di tensione, qualche murale con la bandiera della Palestina e slogan scritti sui muri. La manifestazione di ieri dei ProPal, annunciata da giorni con il dichiarato obiettivo di bloccare l’aeroporto di Caselle e lo stabilimento Leonardo, non ha centrato il bersaglio. Ma ha lasciato sul terreno un bilancio complesso: qualche contuso, strade presidiate a lungo dalle forze dell’ordine, e due Comuni - Borgaro e Caselle - che hanno scelto la strada della chiusura preventiva come scudo.
La marcia interrotta
Il corteo era partito da Torino con toni accesi e tamburi battenti. Oltre un migliaio di persone, bandiere, slogan. Le rotte tracciate puntavano dritte verso il cuore infrastrutturale del Nord Ovest: la pista dell’aeroporto e i cancelli di Leonardo. Il viaggio si è trasformato in una lenta partita a scacchi con la polizia: barricate mobili, idranti che hanno bagnato l’asfalto, lacrimogeni a creare cortine di fumo. Alcuni gruppi hanno tentato di scivolare nei campi, puntando le recinzioni dello scalo: per pochi minuti, aerei e manifestanti si sono trovati a distanza ravvicinata, una scena quasi surreale, ma che non ha mai superato la barriera decisiva.
Il corteo ha ripiegato. Prima verso la periferia, poi nuovamente dentro Torino, fino a piazza Castello, dove si svolgeva il Salone dell’Auto. Qui l’ultima eco della protesta, qui gli ultimi slogan, prima che la sera calasse definitivamente su una giornata che voleva essere “storica” e che invece si è fermata a metà.
Le città blindate
La vera storia, però, si è scritta qualche chilometro più in là, tra Borgaro e Caselle. Non piazze in festa, non negozi aperti a fare da sfondo: i sindaci hanno scelto la linea dura e silenziosa. Ordinanze lampo, serrande abbassate, eventi annullati. Feste patronali congelate, mercati cancellati. È bastato un giro per le vie principali per capire la scelta: niente gente, niente occasioni. Un deserto calcolato. Strategia. Una barriera fatta non di scudi e caschi, ma di assenze.
Il motivo era chiaro: la notte precedente aveva già dato i suoi segnali. Imbrattamenti, scritte, simboli piazzati sui muri come un messaggio in codice. I Comuni hanno risposto mostrando che il terreno di gioco non era neutro: la partita sarebbe stata controllata.
E così è stato. Nessun assalto possibile a negozi, nessuna deviazione che potesse coinvolgere ignari residenti. Borgaro e Caselle hanno retto. Non senza fatica, ma con l’impressione di un argine che, pur sotto pressione, non ha ceduto. La gestione è stata quasi militare: presidio della viabilità, blocchi disposti in sincronia con la Questura e i Carabinieri, comunicazioni costanti ai cittadini. Messaggi che hanno fatto la differenza.
Una lezione che resta
Il corteo non ha sfondato, ma ha costretto tutti a scoprire le proprie carte. I manifestanti hanno mostrato la determinazione a colpire simboli sensibili — un aeroporto internazionale, un colosso industriale. Le istituzioni locali hanno risposto con una gestione che ha trasformato le città in spazi sospesi, quasi scenografie vuote. Forse è questo il vero insegnamento di ieri: quando la protesta mira a luoghi così strategici, il terreno non può più essere lasciato al caso. La forza delle barricate non basta, servono anche ordinanze, scelte rapide, decisioni efficaci.
Il corteo non ha vinto, i Comuni non hanno perso. È stata una partita di resistenza e contenimento. E oggi, nelle vie resta il segno di una giornata che ha provato a cambiare il ritmo della storia e si è infranta contro l’ordinaria capacità di organizzazione di due piccoli Comuni.