Gli ambiti territoriali di caccia (ATC) e i Comprensori alpini (CA) della Città metropolitana di Torino hanno deciso di non anticipare al 1° settembre la caccia in braccata al cinghiale, come richiesto dalla Regione Piemonte e dal Commissario nazionale per il contrasto alla Peste suina africana (PSA). Le squadre venatorie hanno optato per un calendario più restrittivo, con apertura non prima del 1° ottobre.
Una scelta che Coldiretti Torino definisce «irresponsabile». «In un momento in cui l’infezione è ormai alle porte del Torinese – denuncia il presidente Bruno Mecca Cici – ci aspettavamo collaborazione, non ritardi che mettono a rischio l’agricoltura e l’agroalimentare».
L’associazione ricorda come la PSA, diffusa dai cinghiali, abbia già pesantemente danneggiato il comparto suinicolo piemontese, che rappresenta il 15% della produzione nazionale e rifornisce prosciutti Dop come Parma e San Daniele.
I numeri confermano l’emergenza: nel 2025, fino al 30 agosto, i danni alle colture provocati dai cinghiali ammontano a 140 mila euro nel Torinese e 280 mila euro in tutto il Piemonte. Nel 2024 il bilancio era stato molto più pesante: oltre 570 mila euro nella sola area metropolitana e 4,17 milioni a livello regionale.
Sul fronte degli abbattimenti i dati risultano insufficienti: 2.670 capi eliminati nel Torinese e 10.636 in Piemonte dall’inizio del 2025, contro i 10.540 e 32.446 registrati l’anno scorso. Coldiretti chiede di alzare l’asticella a 15 mila abbattimenti l’anno per la Città metropolitana e 50 mila per l’intera regione.
«Siamo esasperati – conclude Mecca Cici – l’agricoltura non è compatibile con una presenza fuori controllo di cinghiali. ATC e CA devono essere richiamati alle loro responsabilità: la fauna selvatica non è dei cacciatori, ma un patrimonio dello Stato da gestire nell’interesse di tutti».