E' un arbusto sempreverde di origine asiastica denominato anche bambù sacro
Comunemente nota come Nandina o Bambù sacro, è una pianta originaria dell' Estremo Oriente dove si ritrova dall'Himalaya fino al Giappone. Tutte le parti della pianta sono tossiche in quanto contengono acido cianidrico. La pianta è considerata come non mortale per l'uomo, tuttavia le bacche possono essere pericolose per gatti e animali da pascolo.
Coltivata in Cina e Giappone per secoli, è stata importata nei giardini occidentali da William Kerr che la portò a Londra dopo la sua prima spedizione nel Guangdong , nel 1804. Gli inglesi, insicuri sulla resistenza della pianta al freddo, tenevano la pianta in serra inizialmente. Il nome scientifico le è stato assegnato da Carl Peter Thunberg ed è la versione latinizzata del nome giapponese della pianta, nanten o nán-tiān .
La Nandina è largamente coltivata nei giardini come pianta ornamentale. Più di 65 cultivar sono state prodotte in Giappone, dove la specie è particolarmente popolare e dove esiste una società nazionale dedicata alla pianta. Cresce bene in posizione ombreggiata o soleggiata, anche se in carenza di luce tende a non fiorire e le foglie si colorano di verde scuro. Si sviluppa praticamente in qualsiasi terreno, purché ben drenato. Ampiamente diffusa nei giardini europei, la Nandina domestica è un arbusto sempreverde che appartiene alla famiglia delle Berberidaceae (la stessa del Berberis vulgaris), anche se, a dire il vero, le due piante non si somigliano affatto. L’aspetto della Nandina infatti è quanto mai leggero ed elegante, simile per molti versi ad un bambù in miniatura, dato che raramente supera i 2 metri di altezza, ed è assolutamente sprovvisto di spine o aculei, caratteristica invece piuttosto comune nella famiglia dei Berberis.
E’ un arbusto sempreverde a portamento eretto, piuttosto compatto e di forma arrotondata a maturità, che può raggiungere i 2 metri di altezza e 1,5 metri di larghezza. E’ costituito da numerosi steli sottili simili a piccole canne, fittamente ricoperti di foglie persistenti composte, impari-pennate, lunghe complessivamente da 50 cm a 1 metro negli esemplari adulti e ciascuna delle quali è formata da numerose foglioline lanceolate, lunghe 4-10 cm e larghe 2-3 cm. La colorazione del fogliame cambia con l’invecchiamento e soprattutto al variare delle stagioni e rappresenta il principale pregio della Nandina. Le foglie giovani sono inizialmente di una sfumatura che va dal rosa chiaro al rosso, successivamente diventano verdi o giallo-verdi; in autunno e soprattutto con il freddo invernale, diventano rosso fuoco, colore che permane fino alla primavera successiva.
I fiori della Nandina sbocciano a luglio e sono pannocchie terminali di 30-40 cm, formate da piccoli fiori bianchi a forma di stella. Ad essi seguono, durante l’autunno, mazzi di bacche sferiche rosso acceso, del diametro di 8-10 mm ciascuna, che persistono sulla pianta sino alla primavera successiva.
La Nandina domestica è una pianta che non richiede grandi accortezze in coltivazione. Non ha particolari esigenze di terreno, anche se dà il meglio di sé in terreni di medio impasto, freschi, drenati, profondi e mediamente fertili. Non tollera affatto il ristagno di acqua, mentre piante adulte mostrano una certa resistenza alla siccità, sia pur per periodi brevi. Negli stadi giovanili invece è buona norma mantenerle umide con opportune irrigazioni. Preferisce esposizioni soleggiate, almeno per mezza giornata o di mezzombra molto luminosa. All’ombra, pur vegetando benissimo, fiorisce poco e di conseguenza non fruttifica, mentre le
foglie diventano verde scuro, senza assumere le colorazioni autunno-invernali che la rendono tanto attrattiva.
Nonostante il suo aspetto leggero, resiste bene al freddo, anche con temperature ben al disotto dello 0°C, che accentua invece l’arrossamento del fogliame. In Italia può essere coltivata pressoché ovunque, dalle Alpi alle Isole, avendo semmai l’accortezza di posizionarla in mezz’ombra al Sud e lungo le coste, ove il sole estivo è più cocente.
Non necessita solitamente di potature, se non per rimuovere, a fine inverno, i rami che portavano le bacche ormai cadute. Può anche succedere che, a distanza di anni e se non ben esposta alla luce, la pianta si spogli alla base e tenda a concentrare la vegetazione in alto, mostrando gli steli nudi al di sotto. In questo caso può essere efficace una potatura di ritorno, da effettuare alla ripresa vegetativa (marzo-aprile secondo latitudine) anche a 20-30 cm da terra, per favorire l’emissione di polloni dalla base e ricostituire in toto la parte aerea.
In campagna possono essere utilizzate per la creazione di siepi monospecifiche o miste con lo scopo di fornire cibo all’avifauna. Le bacche sono infatti assai apprezzate dagli uccelli, che contribuiscono alla diffusione della specie disperdendone i semi con gli escrementi.