Gio, 5 Dic, 2024

Umberto Granaglia, il campionissimo di bocce di Venaria. Fece conoscere al mondo questo sport nobile e antico

Umberto Granaglia, il campionissimo di bocce di Venaria. Fece conoscere al mondo questo sport nobile e antico

Excursus storico fra grandi campioni, capaci di confrontarsi con gli avversari sempre con umiltà ed educazione

Erano passate da poco le 23,40 di una mite e tiepida serata di giugno del 1984, che nella bocciofila comunale di Borgaro Torinese, all’epoca luogo di ritrovo di molti giocatori ed appassionati di bocce, si era da poco conclusa una partita di semifinale a quadrette molto avvincente che aveva tenuto i tanti spettatori con il fiato sospeso fino all’ultima bocciata, in una gara a poule che vedeva impegnati molti nomi prestigiosi del panorama boccistico nazionale.

Il pubblico lasciava le gradinate ed i corridoi di gara lasciate libere dalla partita, commentando l’evolversi della stessa e le gesta dei  giocatori in campo, ligi al vecchio rito di stringersi la mano alla fine dell’incontro, si complimentavano tra di loro, chi dandosi appuntamento per le prossime gare, chi invitando a bere un amaro al banco del bar della bocciofila: tutti parlavano con tutti, discutendo degli accosti e delle bocciate dei giocatori in campo, primo fra tutti il “Campionissimo” o semplicemente “Berto”. Chi nel mondo dello sport delle bocce non conosce questi appellativi, di cui era omaggiato il più grande campione di tutti i tempi che portava il nome di Umberto Granaglia?

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Sì, quella sera c’era anche lui, il mito, il Re.

A 37 anni di distanza ricordo ogni particolare di quella serata, perchè con grande nostalgia di quei tempi e di quei campioni, posso dire che io ero presente, non come spettatore, ma come avversario di Granaglia.

Ero lì perchè nella mia umile e meravigliosa infanzia passata in gran parte con i nonni in campagna nel Monferrato, in quel piccolo paesino in cima ad una delle tante colline astigiane, non essendoci campi da football e nemmeno da golf, tanto per spiegare ai giovani di oggi che si può benissimo sopravvivere in luoghi privi di tali eccellenze sportive, i bambini potevano dedicarsi solo a due sport agonistici in particolare: il tamburello e le bocce.

I giovani con una struttura muscolosa e forte, venivano avviati al gioco del “Tambass” ,il quale richiedeva per prima cosa una certa robustezza e solidità fisica, perchè si giocava a ribattere con un tamburello di legno rivestito con pelle di coniglio, palle di gomma piena pesanti un paio di etti, che arrivavano come proiettili e quindi occorrevano polsi e bicipiti di ferro,nonchè gambe e fiato per coprire di corsa durante la partita, il campo di battuta, solo leggermente più minuscolo di un campo di calcio, mentre per chi non aveva queste doti fisiche, si apriva il mondo delle bocce, meno faticoso ma molto più in voga in tutto il Piemonte e seguito da migliaia di appassionati: io ero alto e magro e quindi non chiesi neppure che sport fare: mi diedero due bocce di legno e mi misero con altri bambini appena più grandi a giocare nella strada di campagna con tanto di solchi in ghiaia che correva dietro la cascina, quello era il tirocinio per arrivare ai campi regolari tracciati per le gare durante le feste dei nostri villaggi di collina, lì dovevi farti le ossa e basta.

Iniziai a dodici anni a gareggiare nelle competizioni di paese durante le feste locali, ed è stato un periodo molto bello della mia vita perchè nonno “Angilin”, vecchio giocatore di bocce, mi portava con la 500 in questi piccoli paesini di collina ove le antiche case raccontavano passate vicende e la mia passione per la storia nasce proprio da qui, da quando ero poco più di un bambino e giravo questi paesi con due bocce in mano, ed in attesa della gara, giravo a piedi da solo le vecchie vie di questi ameni villaggi, cercando con la mente di ritornare al loro passato: erano lontani i tempi in cui si poteva pensare che i giovani di oggi potessero solo più riconoscersi in neologismi anglosassoni in cui non esistono più le “merende sinoire” o il classico” quartin ad barbera”, sostituiti dagli “happetizer” e “pret a parler”, tanto cari agli attuali Dandy nostrani.

Ero anche abbastanza bravo nel ruolo di bocciatore, ma appena più grande, giunto in collegio ad Asti, vedendo i miei coetanei giocare a pallone, ci provai anche io ed il risultato fu disastroso: nel giro di tre mesi, mi ruppi un polso per una violenta pallonata e la rotula del ginocchio sinistro a causa di un calcione: fine della mia avventura calcistica, ma soprattutto di quella bocciofila. A 16 anni si doveva studiare per poi dare una mano a casa e non c’era tempo per fisioterapia o cure specifiche per lanciare una boccia, perchè ci sono cose più importanti nella vita, almeno in quel momento, quindi zitto e pedalare!

Cosa ci facevo dunque, tanti anni dopo, quella sera d’estate del 1984 in una gara bocciofila dove tutte le squadre presenti erano composte dai migliori giocatori piemontesi, quindi del mondo assieme ai francesi, dell’epoca?

Semplicemente avevo coltivato in me la passione per questo gioco, pur sapendo che non avrei mai potuto ritornare a giocare ai livelli accettabili per una qualsivoglia competizione o gara, e quindi ogni tanto mi cimentavo in questo sport  nelle categorie dilettantistiche, dove avevo lasciato molti amici ed un buon ricordo verso quei giocatori che ancora calcavano le scene e che quando mi incontravano mi stringevano la mano in segno di amicizia e di rispetto per la mia sfortuna. Quel maledetto ginocchio mi condannava!

Il “Memorial F.lli Bertolotti” era l’unica competizione cui ogni anno partecipavo in segno di stima e riconoscenza verso la famiglia volpianese a cui era dedicata la manifestazione e, come sponsor della nosta attività avevo messo su una squadra che avevo formato con alcuni amici giocatori di serie A, come Bruno Ceresa, Mario Bombelli e Cesare Francioli, la stessa formazione che quella sera affrontò il grande “Berto”.

Ma chi era veramente Umberto Granaglia?

Nasce a Venaria Reale il 20 maggio del 1931 da genitori veneti che si erano trasferiti nel torinese in cerca di lavoro in quei luoghi dove la Fiat e la Snia Viscosa davano buone opportunità di impiego e quindi il piccolo Umberto conosce le realtà delle piccole osterie e piole dove dopo una giornata di lavoro i manovali ed operai si recavano per un bicchierino di vino o di un “grigioverde", per allievare le fatiche della giornata e papà Guglielmo ogni tanto ci andava in compagnia del figlioletto, che mentre beveva una gazzoza "con la biglia”, osservava i giocatori di bocce che si cimentavano nei cortili delle taverne o nelle piazze sterrate e l’amore fu grande fin da subito.

Si racconta che ancora bambino sostasse al fondo dei campi per poter raccogliere i pallini che ogni tanto uscivano dal rettangolo di gioco andando persi: lui li cercava e raccoglieva per poter giocare con i suoi piccoli amici con queste piccole sfere che, per le loro manine, erano le prime vere  bocce.

Ad undici anni già si cimentava in partite vere con giocatori adulti, fino a quando all’età di 16 anni fu notato da un giocatore molto famoso all’epoca, Giovanni Baravaglio, che conobbi personalmente verso la metà degli anni '70, il quale gli fece fare il primo cartellino per la società bocciofila Snia Viscosa, dove lo stesso lavorava come muratore e nel tempo libero difendeva i colori della medesima società e da quel momento, grazie all’arguzia nel scegliere il giocatore da lanciare nell’olimpo bocciofilo da questa vecchia volpe del boccismo torinese,  inizia la grande avventura del giovane Granaglia che fino al 1951 militerà nello stesso sodalizio in coppia con Baravaglio.

squadra bocce

Con Baravaglio forma una coppia sorprendente in quanto la grande esperienza del primo, era nato nel 1886, si fonde con le capacità balistiche di Umberto che stupisce tutti per la sua classe che già si intravede nelle prime competizioni ad alto livello.

Granaglia oltre alla sua classe innata che lo farà diventare il giocatore più forte di tutti i tempi, ha dalla sua le caratteristiche che occorrono per diventare tale: freddezza, calma assoluta anche nei movimenti per non dare mai la sensazione all’avversario di essere in difficoltà, sguardo fisso sul terreno di gioco, mai nessun rilassamento, mai una leggerezza, sempre una grande considerazione per l’avversario che lo rende immune da errori di valutazione che potrebbero costare cari durante la partita, a differenza di altri campioni che amano dialogare durante la gara, lui mantiene un sempre vistoso distacco, ha il piglio del comandante, il capo quadretta nelle competizioni internazionali è indiscutibilmente lui, tanto che negli anni della sua completa affermazione viene anche accusato benevolmente di essere lui a “fare la formazione”, in barba a tecnici e commissari: lui è “Berto” e non si discutono le sue scelte.

La sua bocciata è un qualcosa di perfetto tra armonia del gesto atletico e la forza fisica che esprime, tanto che a vederlo lanciare con tanta naturalezza, fa apparire il gioco delle bocce uno sport facile, ma non è assolutamente così.

Granaglia4

La sua rincorsa è di cinque passi, partendo dal piede destro, con la boccia in partenza tenuta in posizione di guardia dalla mano destra all’altezza del cuore ed appena sotto il mento: durante il primo movimento del piede destro, fa sobbalzare leggermente la boccia sulla mano, una caratteristica questa che denota sicurezza e facilità di esecuzione, abbassa il baricentro piegandosi in avanti e dopo altri 4 ampi passi, parte con la stoccata, che però non è mai la stessa, ma varia in funzione del bersaglio da colpire, ovvero se la boccia dell’avversario è coperta da altre bocce, per evitare di colpire queste, alza la parabola e si vede perfettamente che, al momento di lanciare in alto la sfera, la mano ha un diverso modo di aprirsi, cosa questa, impossibile da controllare se non si è in possesso di una padronanza assoluta della sensibilità dei muscoli delle dita che nello stesso frangente devono trattenere il peso della boccia avendo però la delicatezza di lasciare sfilare l’attrezzo quella frazione di secondo in più od in meno ove occorre.

Se poi pensiamo che queste particolari bocciate "Berto” non le faceva nel cortile di casa sua, ma in grandi bocciodromi, in particolare in Francia, gremiti da migliaia di spettatori chiusi in religioso e totale silenzio nell’attesa della rincorsa del campione, magari dopo ore di gioco nelle gambe e nelle braccia,sapendo che la boccia che stringi tra le dita può essere decisiva per le sorti di un campionato mondiale e magari devi assolutamente colpire un “pallino salvezza” posto ai 25 metri, solo allora si ha la percezione che la sfera che hai in mano non pesa più un chilo e 20 grammi, ma una tonnellata intera.

Ma Granaglia superava ogni ostacolo emotivo con straordinaria freddezza e con insuperabile maestria nel gioco, tanto che un giorno di tanti anni fa, al termine di una partita che vedeva il nostro trionfare contro il “nemico” di sempre, il francese Millon, grandissimo colpitore e pluricampione del mondo, nel gesto di stringergli la mano, gli alzò invece il braccio di fronte al pubblico transalpino e disse rivolto al medesimo: "impossibile,c’est trop fort” e da quel momento Granaglia fu per l’appassionato di bocce francese “Le Roi”, il Re incoronato dal suo stesso avversario in terra straniera!

 D’altronde il suo palmares è un qualcosa di assolutamente straordinario: 11 volte campione del mondo a quadrette e 2 titoli mondiali a coppie, 12 titoli europei, 46 titoli italiani nelle diverse specialità, 103 presenze con la maglia azzurra, oltre 1300 gare vinte complessivamente in tutti i continenti. Per elencare la sua vita sportiva non basterebbe scrivere un libro, sarebbe troppo riduttivo e non ci starebbe tutto quello che è stato ed ha rappresentato per lo sport .

Vince il suo primo titolo mondiale a Beziers in Francia, allora patria indiscussa dei campioni del mondo di tale sport che ebbe come miglior rappresentante il famoso bocciatore “Gè Gallarato", che sapeva colpire un pallino di 7 cm di diametro alla distanza di 38 metri, quando si giocava ancora “al libero” e non sempre sui campi tracciati cittadini di 28 metri circa.

La squadra è composta da Gaggero, Motto, Granaglia ed il leggendario Giuseppe Carrera, "Beppe l’mat” come era affettuosamente chiamato dagli amanti delle bocce dell’epoca: lo incontrai in una gara a coppie come avversario alla fine della sua carriera nella frazione di Tuffo di Cocconato, luogo famoso un tempo per le belle competizioni boccistiche estive, dove molti campioni si davano appuntamento per giocare e mangiare bene. Gli assi delle bocce non potevano permettersi le stesse vacanze dei calciatori e quindi quando il campionato nazionale era fermo, li potevi tranquillamente notare nelle gare di paese a competere con i dilettanti del luogo. Vidi un uomo che pagava in quel periodo gli eccessi di una vita vissuta sempre al massimo ed il suo gesto atletico non era più quello di un tempo, ma per noi ragazzini era come trovarsi a giocare a calcio in un campetto di periferia con Maradona.  Genio e sregolatezza, forse il più grande talento di tutti i tempi, penalizzato da un carattere focoso, personalità forte con scarsa propensione ad ascoltare consigli e suggerimenti che avrebbero potuto portargli più vantaggi nel corso di una, comunque, grande carriera ed attore principale della vittoria del primo mondiale vinto dall’Italia in quel campo di bocce di Beziers, soprannominato “l’Arena dei tori”, di fronte a migliaia di spettatori francesi che attendevano l’ennesima affermazione transalpina. Appare invece  d’incanto la stella di Carrera che all’11° e 12° giocata annulla sul pallino evitando la sconfitta, che si tramuterà in vittoria alla 13°giocata quando prima “Berto” e poi lo stesso “Beppe l ‘mat”, fanno sfoggio della loro classe con una serie di “fermi al posto” su bocciate compiute con grande freddezza e lucidità decretando la debacle francese.

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Granaglia detiene anche il record, assieme ai suoi tre compagni di squadra della partita ufficiale durata di più al mondo: 7 ore e 23 minuti, tanto durò la finale del campionato del mondo di Gap, manco a dirlo contro i francesi capitanati dal grande Cheviet, che vide dopo 38 giocate la vittoria della nazionale italiana con Granaglia, Benevene, Macocco e Bragaglia.

Umberto Granaglia si ritirerà ufficialmente dalle gare nel 1991, partecipando però a manifestazioni boccistiche minori dove la sua presenza era sempre un motivo di orgoglio per gli organizzatori.

Nel 2004 la Federazione Internazionale Bocce lo elegge “Giocatore del xx°secolo”, massimo riconoscimento ad una leggenda dello sport italiano.

Aneddoti, date, cifre, bronzo e uomini che raccontano di una epoca in cui lo sport, ed in particolare il gioco delle bocce, era visto come un grande momento di incontro di tutti e per tutti: non esisteva il campione osannato, riverito, strapagato, viziato e solitario, come vediamo oggi gli idoli del calcio moderno e di altri sport, ma persone comuni che dialogano, si incontrano, discutono e giocano persino assieme, campioni e dilettanti, con rispetto ed educazione. Una disciplina che è partecipazione di popolo.

Ed è proprio l’educazione una capillare prerogativa del gioco delle bocce, in quanto dopo un errore di giocata non è permesso dare un calcio alla panchina, se un avversario vince anche con fortuna, tu gli stringi la mano e se all’ultimo secondo ti sfugge la vittoria, ti complimenti con l’avversario, non puoi fare melina e parlare con nessuno che non sia un tuo compagno di squadra, se il pubblico rumoreggia perchè hai sbagliato una giocata, non ti azzardare mai a rispondere o gesticolare, perchè anche se non è vietato dal regolamento, è sintomo di debolezza e scarsa personalità, oltre a maleducazione .

Autocontrollo e rispetto sono le parole d’ordine, in mancanza di queste non avvicinarsi mai ad una bocciofila ma dedicarsi invece al calcio dove vengono stesi lenzuoli sul terreno di gioco prima della partita con su scritte nobili frasi contro il razzismo ed a favore del rispetto, per poi assistere a partita in corso ad offese verbali di ogni tipo da parte sia dei calciatori che del pubblico: non confondere mai una bocciofila con uno stadio, sono concezioni di sport troppo diversi nei valori e nei modi di vivere la quotidianità reale.

Purtroppo molte bocciofile non esistono più, le bocce sono uno sport povero di danari, anche se ricco di valori umani conservati con orgoglio.  

Sono passati anche 30 anni da quel giorno in cui un anziano, educato signore mi fece visita durante il periodo estivo nel mio piccolo villaggio di collina dove era ospite nell’albergo locale: si chiamava Michel Lazzarino ed era un vecchio e dignitoso emigrante astigiano che dopo la guerra aveva raggiunto l’Argentina in cerca di fortuna; la trovò mettendo su una carrozzeria che gli consentì una vita tranquilla adattandosi agli usi e costumi locali, ma non per questo dimenticò le sue origini e…..le bocce che aveva portato con sè.

Granaglia Calvo

Parlando con l’amico albergatore di tale sport, il medesimo lo informò del mio piccolo passato bocciofilo e gli indicò la strada per raggiungere la mia abitazione e scambiare due parole.

Il giorno dopo ecco Michel alla mia porta con una borsa da lavoro colma di giornali e fotografie: era stato un giocatore nella sezione bocce del River Plate di Buenos Aires, cosa che ignoravo in quanto pensavo che questa società rappresentasse solo il calcio in Argentina,ma non era così.

Mi chiese se avevo conosciuto i suoi avversari giunti dall’italia nel 1961 per una tournèe oltreoceano della nostra nazionale in occasione del centenario dell’Unità d’Italia ed appena vidi le fotografie ebbi un sussulto, in quanto i giocatori italiani li conoscevo eccome,in particolare Giancarlo Bragaglia con cui avevo avuto modo di giocare e con il quale ogni tanto mi ritrovavo.

Siccome sarebbe partito il giorno dopo per ritornare in Argentina, mi chiese  se potevo portare a Giancarlo alcune sue foto dove i nostri campioni posavano con la rappresentativa dei gauchos della quale faceva parte Lazzarino.

Preso un appuntamento con il “Cianca”, il sabato dopo, presso la società bocciofila La Fissa di Torino, consegnai il malloppo di fotografie a Bragaglia che ricordò quei momenti vissuti nella tournee sudamericana del 1961 con grande passione, tanto che ad ogni sguardo posato sulle fotografie argentine, si illuminavano gli occhi e raccontava storie ed aneddoti, spiegandomi che il viaggio, sponsorizzato dalla Martini & Rossi, ebbe il merito di far conosere ed apprezzare il gioco delle bocce anche in stati come Brasile, Cile ed Uruguay ed altre zone che non potevano vantare enclave piemontesi portatrici di tale sport tradizionale, quindi poco praticato.

La comitiva era capitanata, manco a dirlo, da Granaglia con i compagni Bragaglia, Macocco e Gaggero, tutti in diversi momenti campioni del mondo.

Giancarlo Bragaglia, 8 volte campione del Mondo, ci lasciò nella primavera del 2012 all’età di 88 anni, mentre Umberto Granaglia si spense a Rivoli qualche anno prima, nel 2008, all’età di 77 anni.

Michel Lazzarino, con il quale ci eravamo scambiati i rispettivi numeri di telefono, morì l’inverno successivo alla sua visita in Piemonte.

Seppi dalla figlia, che aveva risposto alla mia chiamata telefonica alla vigilia di Natale, che papà era mancato alcune settimane prima e che il viaggio che aveva intrapreso da solo, essendo da poco tempo vedovo, in Italia, era per vedere l’ultima volta le sue colline del Monferrato, guidato da un triste presentimento sapendo di essere da tempo malato.

Mi resta il ricordo di queste figure umili e magnifiche allo stesso tempo, campioni di sport e di educazione, di comportamenti e di relazioni con il prossimo improntate sempre al massimo rispetto e dunque portatori di valori che oggi molti di noi abbiamo dimenticato, in una società dove la sobrietà è vissuta come  difetto e non, come sarebbe logico pensare, una delle risorse più importanti dell’uomo.

Ciao me amis e grazie.

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