Gio, 25 Apr, 2024

Parole scomode e curiose da un antico vocabolario piemontese edito a Torino nel 1783. Scritto dal medico Maurizio Pipino

Parole scomode e curiose da un antico vocabolario piemontese edito a Torino nel 1783. Scritto dal medico Maurizio Pipino

Un vademecum di come si dividevano le categorie dialettali all’epoca

L’opera in questione è dedicata alla Principessa di Piemonte, quindi Altezza Reale Maria Adelaide Clotilde Saveria di Francia, essendo nata a Versailles il 23 settembre 1759, sorella minore del Re di Francia Luigi XVI, che divenne Regina di Sardegna nel 1796 con il nome di Clotilde, moglie di Carlo Emanuele IV di Savoia. Morì in esilio a Napoli il 7 marzo 1802, essendo il Piemonte occupato dai giacobini francesi al seguito di Napoleone Bonaparte.

Tra i tanti vocabolari che si possono trovare nei ricchi archivi di nobili residenze che sfidano con coraggio il passar del tempo e delle genti, ne esiste uno molto particolare edito dalla Regia Stamperia di Torino nel 1783, dal medico Maurizio Pipino, nato a Cuneo nel 1739 e morto in Grecia nella cittadina di Simi nel 1788.

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Sono due le caratteristiche principali di quest’opera, che risulta essere un unicum nella categoria dei dialetti, in quanto è caratterizzata da un forte sentimento nazionalista, riguardante ovviamente il Piemonte dell’epoca ed il modo di definire “lingua” il piemontese parlato allora, suddividendolo in cinque distinte  categorie:

1 cortigiana, parlata nelle corti Reali e dalla nobiltà subalpina;

2 volgare, parlata tipica dei cittadini dei centri urbani;

3 plebea, esempio di parlata delle persone dei ceti poveri;

4 provinciale, tipiche parlate diverse tra di loro in base al territorio di appartenenza degli individui;

5 contadinesca, modo di esprimersi nella stessa lingua ma con fonie diverse, rappresentanti gli abitanti più lontani dai centri abitati più rilevanti, dimoranti in un preciso Contado o Contea.

Ma non basta, l’autore divide il suo vocabolario in altre quattro parti, tutte legate tra di loro, ma con parole separate in base ad una suddivisione che, lui stesso tiene a sottolineare, come una dimostrazione lampante di come il piemontese come lingua e non come dialetto, sia una cosa seria e complicata al tempo stesso, che delinea la caratteristica di un popolo “Nazionale”, con una precisa identità legato allo Stato in cui vive, quindi non solo come forma linguistica, ma come sentimento di identità umana da vivere appieno.

Prima partevocabolario domestico, con alla fine un'aggiunta di voci che, a detta dell’autore, sono delle parole giunte alla sua mente durante la preparazione di questo capitolo.

Seconda parte rappresentata da una raccolta di nomi che derivano da “gradi, dignità, uffizi, professioni ed arti”.

Terza parte che comprende i verbi più famigliari, distanti dalla lingua italica, tipici dunque del modo di parlare delle nostre genti, ”de princjpali avverbi, preposizioni, congiunzioni ed interjezioni”.

La quarta parte è un supplemento al vocabolario stesso, che ha il fine di completare lo stesso di dimenticanze precedenti.

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Nel complesso, questo piccolo ma interessante vocabolario piemontese di 226 pagine, colofon compreso, è una miniera di nomi che molti non conoscono perchè se il tempo è riuscito a conservare l’oggetto, molti di noi non hanno più memoria della propria lingua, perchè nel tempo ignorata in quanto considerata culturalmente non all’altezza della lingua di Dante.

Ho cercato quindi di estrapolare alcune parole, curiose alcune, divertenti altre, che sono definizioni di soggetti particolari, con i loro pregi ed i loro difetti, una piccola carrellata storica della parlata piemontese intesa come lingua, quindi con caratteristiche ben precise che inducono a considerare il giusto valore della nostra parlata, che in certi frangenti pare bizzarra e fantasiosa, ma che ancora oggi, in alcune zone i presenti vocaboli sono ancora usati.

Ecco alcune definizioni, tipiche del Piemonte antico, ancora però in auge nei cuori dei nostri nonni ,per definire determinati compaesani e loro comportamenti:
Abachista, aritmetico, calcolatore, uomo di studio
Acosseur, perito, raccoglitore di patti
Armanachista colui che compone i calendari
Angignè, ingegnere, professionista, misuratore
Artajòria, colei che vende salame e cacio
Arvendjojra, rivenditrice
Balonè, colui che fabbrica e cura i palloni di cuoio per pallapugno
Bafanè, colui che vende esche
Baudetè, il suonatore di campane a festa
Berlandòt ,stradiere,soldato di tratta
Bisotiè, colui che fa commercio di oggetti piccoli e curiosi
Cabassin, facchino o chi va girando con lanterna per far lume
Cavalànt guida di cavallo da carico, vetturale
Cioatè’, chi fabbrica e vende chiodi

Ciaramolè, arrotino che gira di casa in casa
Curariànè, svuotacesso
Fondichè, venditore di aromi, droghiere
Frisotin ,colui che arriccia i capelli
Ghingajè, venditore merci minute
Gran venèur, cacciatore, capo caccia
Machignon, sensale per i cavalli
Marcacàsse, colui che assiste i giocatori di palla
Marossèur, tizio che fa fare cattivi contratti
Masca, strega,maliarda
Masoè, colono, fittuario alla parte
Mesan, dispregiativo per indicare persona che si interpone ad altri
Metre pruchè, maestro parrucchiere
Meisdabòsch, quelli che fanno con il legno
Nciarmà, prestigiatore, impostore
Pajsanòt contadinetto
Picapèrè, scalpellino, chi lavora la pietra
Ronchin,chi estirpa le male erbe nei campi
Salnitrè, chi lavora alla preparazione della polvere da sparo
Spaciafornèl, spazzacamino
Tirafassolèt, chi ruba fazzoletti
Màcaco, persona mal fatta
Macaronàs, errore grande, erroraccio

Mafi, uomo mal fatto, bozzacchiuto, caramogio (questo nome è poi ripreso dal canonico Casimiro Zalli di Chieri che lo riporta nel suo vocabolario edito nel 1830, Mafi o Mafio, arricchito di particolari che fanno pensare che tale epiteto riferito ad una persona con determinate caratteristiche negative, sia stato usato dopo l’Unità d’Italia per identificare soggetti appartenenti a sette criminali dalle caratteristiche precise e conosciuti in seguito come mafiosi. Per la prima volta in Sicilia, il nome relativo alla mafia compare infatti solo nel 1863, in occasione di un’opera teatrale presentata a Palermo dal titolo “I mafiusi della Vicaria” di Giuseppe Rizzotto)

Mal-an-arnèis, uomo mal vestito
Mal-arangià, persona scomposta
Mal-butà, uomo non ordinato, sciamannato
Malfaita, cosa mal fatta
Mal-forgià, cosa uscita mal fatta, mal architettato
Malinghèr, persona magra
Mal-mastià, inganno, malizia, gatta ci cova
Mamalùch, gògo, marsòch, scimunito, babbaccio
Marjòjra ,figlia da marito
Maschèugn, cosa cattiva che si tiene nascosta
Masùch, uomo o donna incapace di istruzione
Matasàm ,persona buona a poco
Matòta, ragazza
Maunèt, sudaticcio, sporco
Merlùs, dicasi di persona estremamente magra
Mica, pane lungo

Michmàch, vizio,magagna
Minciànt, debole, tenue
Mistà persona che non parla, non si muove
Mitòcia, donna santa, bacchettona
Mitòn -mitèna, cosa che non conchiude in un affare, indeciso
Mne’ le piòte, camminare, darsi una mossa
Monia-cacia, mozzina
Montè la senevra, far venire la muffa alle cose
Motbin, numero indeterminato, parecchi, molti
Mòrdse la lenga, trattenersi dal parlare troppo
Mufì, dicasi di persona lenta, tarda
Ncutì, uomo con poco talento
Ndè con j’ale basse, strisciare per terra
Ndè a rabèl, ridursi al verde
Nen d’autùt, niente affatto
Ngavignà, arruffato, imbrogliato
Panbiànch, dicesi di uomo forte ed ozioso
Patalòch, barbagianni
Per da bon, davvero,veramente
Petacèul, uomo piccolo
Piè ciapè ala volà, colpire la palla prima che tocchi terra
Sagajà, colui che favella troppo
Sbrinc, spruzzo
Schiribis, capriccio

Serchè mesdì a quatordesòre, cercare dove le cose sono,di chi proccaccia noie e fastidi
Sgrognòn, manrovescio, colpo dato con la mano
Slonc, sciatto
Sirognèta, persona stroppia
Smangiasòn, prurito della pelle
Sgiai, ribrezzo per una cosa
Scupissòn, manata sul capo
Roa-descàusa, persona sprovvista del necessario
Pussiògna, capriccio
Quand-benche, sebbene,quantunque
Responde ciò per bròca, rispondere per le rime
Restè astà s’un such, sentirsi delusi
Rata volòjra, chi faccenda di notte
Rablè j’ale, portare i frasconi
Scaudacadrèghe, persona che fa finta di lavorare
Plandra, donna scioperata e renitente
Pitocà, uomo butterato dalla lebbra
Fe’l fòl per nen paghè, fingere di non intendere
Ferfojè, fare presto ed in fretta

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«Con quanto di fatica io sia giunto a compilare questo vocabolario, ognuno sel può facilmente immaginare. Per ridurlo nello stato in cui si trova, non ho risparmiato
diligenza nel consultare le diverse edizioni di vocabolari, i più ricchi, nello esaminare quegli scrittori, che mi parvero atti a somministrarmi qualche lume, e di ciò non pago, ho interrogato parecchi viventi e Franzesi, e Toscani versatissimi nel loro idioma. Questa mia ingenua confessione mi servirà di scusa e presso i
letterati, i quali ben sanno ,che un’opera affatto nuova, qual è questa, è difficilissimo, che uscir possa la prima volta compiuta, e presso i Piemontesi, al cui uso, e comodo è spezialmente indirizzata, i quali spero anzi,che mi sapranno buon grado dell’intrapresa fatica, comecchè il lavoro sia tuttavia mancante ed imperfetto».

Maurizio Pipino 1783

Alcune parole ed aggettivi, sono molto comuni ancora oggi nelle comunità rurali, altri modo di dire sono purtroppo scomparsi nelle nebbie del passato. Un momento di riflessione abbracciando la nostra amata lingua, tra ricordi e nostalgie di un tempo che fu.

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