Mer, 1 Mag, 2024

1951\1967 e gli eroi di carta della EsseGesse. Nella Torino capitale del fumetto storico

1951\1967 e gli eroi di carta della EsseGesse. Nella Torino capitale del fumetto storico

Uno splendido affresco sul filo della memoria e dei ricordi

La storia di un bambino della Torino degli anni '60 che visse la sua infanzia immerso con la fantasia nelle foreste del nord America e nelle sconfinate praterie del West.

Se con la mente ritorno indietro nel tempo, nella Torino dei primi anni '60, in pieno boom economico, con la gente che affollava le vie della periferia e che fino a tarda sera faceva spesa nei piccoli ed innumerevoli negozietti sparsi in ogni strada dopo aver passato tutto il giorno nelle grandi  fabbriche e nelle piccole “boite” che arricchivano, in tutti i sensi,il territorio cittadino ai margini del Quadrilatero, vedo un bambino seduto sullo scalino di una minuta bottiglieria intento a sfogliare un piccolo album a fumetti tipico dell’epoca: che totalmente immerso nella lettura non si accorge delle persone che gli sfilano davanti sul marciapiede, non sente il trambusto che arriva dalla strada con le auto che si incrociano ai “tranvai” verdi che sibilano sulle rotaie.

Isolato dal mondo reale,come direbbero tutti coloro che osservassero un ragazzino di oggi con in mano un cellulare in contatto con tutto e nulla.

Ed allora perchè tanto interesse per quel pezzo di carta che stringe tra  le dita? Quali misteri sono nascosti tra quelle pagine? Cosa c'è di più  importante nella caotica e variegata vita cittadina della Torino di sessant’anni fa, che ti fa rimanere seduto su di un freddo scalino di marmo con i pantaloncini corti in un tiepido pomeriggio di autunno, senza pensare di essere in mezzo ad una grande città?

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La risposta è molto semplice: a pochi passi dal negozietto dei genitori in via Palestrina 11, appena svoltato l’angolo con corso Vercelli, si trova una vecchia ma fornitissima edicola con una vetrina sola ma farcita di tanti soldatini di piombo e plastica, mentre ai due lati, in bella vista, le copertine pluricolorate dei fumetti a striscia per ragazzi a far da sfondo e sembra quasi che i personaggi delle avventure di carta siano usciti dalle pagine per salutare i tanti passanti che, incuriositi dalla bellezza di tutto l’insieme, osservano interessati  ed affascinati questo minuto angolo di spensierata fantasia.

Sono gli anni d’oro del fumetto torinese, ma il bambino della bottiglieria non lo sa, perchè lui non ha mai visto i veri inventori di questo luna park  subalpino di carta, lo scoprirà anni dopo.

Ora è  intento a seguire le avventure di un giovane Ranger del Texas di nome Capitan Miki che con Susy, la figlia  del colonnello del forte in cui è di stanza e con due personaggi  che paiono usciti dalla fantasia di John Ford, il mitico regista di “Ombre Rosse” e “Soldati a Cavallo”, come Doppio Rhum ed il dottor Salasso, scorazza per le praterie sconfinate americane,sempre in lotta con indiani e messicani con sparatorie ed inseguimenti,imboscate ed agguati.

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Non c'è sangue in questi racconti, un dettaglio voluto dalle leggi di allora che tutelavano anche in questo modo la sensibilità dei ragazzini, ma nello stesso tempo una precisa scelta editoriale che desiderava incentrare l’interesse sulla bellezza del disegno, nitido, pulito, semplice mai banale, con i personaggi principali custodi di principi e difensori di sacrosanti diritti, con la faccia pulita e sorridente del protagonista ,mentre al cattivo era gaficamente concessa una smorfia sul viso, massima forma di brutalità attribuita dal disegnatore di turno che doveva così rappresentare il bruto che doveva subire l’ira dei giusti.

Scoprii molti anni dopo che gli autori di questi personaggi erano tre artisti torinesi che avevano iniziato la loro attività di sceneggiatura e grafica in uno scantinato di Torino, un po’ sulla falsariga di Walt Disney che iniziò a disegnare Topolino nel 1928 nel suo garage posto di fianco alla sua abitazione e la casa editrice da loro fondata fu chiamata EsseGesse,dalle iniziali dei loro cognomi.

Si chiamavano Dario Guzzon, Pietro Sartoris e Giovanni Sinchetto, tutti ormai purtroppo scomparsi.

Qui mi fermo sulla bibliografia di questi eroi del fumetto nostrano, perchè è già stato scritto tutto e di più, giustamente, sulle loro vite ed opere. Desidero, invece, in questa occasione, ricordare solo alcune loro creature che mi hanno tenuto compagnia durante la mia infanzia “cittadina”, citando però il fatto che tutti e tre si alternavano sia alla sceneggiatura che al disegno, con una produzione mensile che sfiorava le 120 strisce, raggiungendo un successo editoriale senza precedenti già nei primi anni con una tiratura di 400mila album a strisce settimanali venduti, circa un milione di copertine presenti nelle edicole italiane ogni mese: anche un eroe immortale del fumetto come Tex Willer, all’epoca, non raggiungeva questi numeri.

Capitan Miki nasce editorialmente nel 1951, mentre un secondo personaggio, il Grande Blek, nel 1955, dopo essere stato prima proposto alla casa editrice di Tea Bonelli, che però non aveva preso in considerazione tale fumetto, che va detto, gli venne presentato in una veste diversa, in quanto il protagonista è’ un giovane trapper di nome Roddy che diventerà’ sotto la sapiente regia della EsseGesse, la “spalla” di Blek, come un altro personaggio curioso e simpatico di nome Occultis, un po’ medico un po’ mago, di sicuro imbroglione,  ma sempre con delicata parsimonia per non urtare la sensibilità educativa.

Quel bambino seduto sul marciapiede di via Palestrina, era il simbolo dei ragazzini dell’epoca, lui come decine di migliaia di giovani erano giunti in città alla fine degli anni '50 con papà e mamma lasciando quindi i nonni nelle campagne, per trovare un po’ di benessere in più, in quel miracolo economico che a Torino si chiamava FIAT.

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Molti suoi coetanei erano nati chi in cascina e chi in vecchie case di pietra del sud, chi in montagna e chi nei boschi del cuneese, mai come allora ci sentimmo tutti uniti, noi bambini, meno ovviamente gli adulti, in particolare quelli provenienti dal sud che, con in mano una valigia di cartone piena di miseria e nell’altra la mano del loro figlioletto, non osavano bussare a quella porta dove un cartello riportava la scritta “Non si affitta a meridionali”: quel bambino seduto a leggere il giornaletto non sapeva queste cose, ma pur arrivando dal vicino Monferrato, per lui, tutti gli altri bambini, erano tutti fratelli e ad unirli erano proprio questi eroi di carta, un po’ giustizieri ed un po’ guasconi, quasi fossero loro a riportar il buon senso in una società divisa, incaricando quindi i giovani lettori a prendere coscienza dei diritti ma anche dei doveri improntati all’onestà ed alla sincerità ,caratteristiche che si ritrovano sempre specialmente nei ragazzini, non ancora educati da quel veloce progresso che muoveva i suoi primi passi nell’animo delle persone abituandole a riflettere sempre meno e ad obbligarle invece sempre di più a rincorrere un benessere che però esigeva un dazio: vedere nel denaro i soli  valori che fino ad allora non erano mai stati riconosciuti dalla gente semplice, un patrimonio secolare a tutela della dignità della persona messo di fronte ad un bivio, uno scambio quindi di identità, un nuovo modo di interpretare l’era dei consumi, che oggi più che mai ha i suoi effetti negativi su gran parte della società civile.

Una identità, strano ma vero, che invece risultava limpida e chiara nei racconti del trio di artisti torinesi, una scuola di strada verrebbe da dire oggi, nella quale i ragazzini di allora si aggrappavano per avere la giustizia che magari il papà’ non trovava in questo nuovo ambiente oppure la difesa di quei diritti che la fabbrica gli negava: Capitan Miki ed il Grande Blek risolvevano tutto con una sberla o un colpo di pistola al cattivo, ma senza versare una goccia di sangue. A noi bambini piaceva che i nostri eroi dessero, come dice ancora oggi Tex, "una sonora lezione” al cattivo di turno, che spesso noi giovanissime reclute di questa nuova società, identificavamo nel caporeparto di papà o nel “signore delle tasse” ,il quale bussava sempre all’ora di pranzo: dalla faccia che facevano papà e mamma, doveva essere veramente brutto e cattivo, ma non importava nulla a noi piccoli sognatori perchè bastava chiamare i nostri eroi ed avrebbero messo a posto tutto, quasi come far finta di non sapere che invece di essere tra le selvagge foreste della Pennsylvania eravamo in una tranquilla, seppur rumorosa, periferia di una grande città.

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Alla domenica, tutti a casa, nella  nostra vera casa, chi in collina, chi in pianura, altri in montagna, non si andava a cavallo, ma nel caso del fanciullo di via Palestrina, con la 600 multipla di papà, seduto tra una damigiana e qualche cassa di bottiglioni con la capsula rossa che tanto assomigliava alle giubbe inglesi: si andava dai nonni!

Quando noi bambini ci ritrovavamo il lunedì successivo,ognuno aveva una storia da raccontare, perchè i nostri eroi erano venuti con noi in campagna, assieme avevamo trascorso la domenica a caccia di indiani nel fienile del vicino, oppure nascosti tra le botti di legno in cantina dove Doppio Rhum, spillava allegramente il suo nettare mentre capitan Miki mandava Salasso in esplorazione al villaggio poco lontano.

Mauro, il mio vicino di cortile, aveva i nonni in Val di Lanzo, il territorio ideale per il Grande Blek dove terribili indiani algonchini ed Uroni, amici degli inglesi, minacciavano le pattuglie di trapper in ricognizione: dal suo racconto sembrava che le vicende legate all’indipendenza americana di George Washington contro gli odiati inglesi fossero avvenute tra Lanzo e Ceres, tra boschi e pinete dove dietro ogni albero si poteva nascondere una giubba rossa.

Al martedì pomeriggio, dopo aver fatto i compiti, con la paghetta di 20 lire, io e Mauro uscivamo dal cortile, e felici ci avviavamo alla nostra “isola che non c’è", quella piccola edicola con una vetrina sola piena dei nostri sogni e dalla quale si usciva con in mano la nostra dose di droga quotidiana: quella piccola striscia di carta con la copertina colorata, "collana Freccia” del Blek o "collana Scudo” per Miki, e qui iniziava una storia nuova, un'altra settimana su quel freddo scalino in pantaloncini corti, magnificamente solo, nel trambusto cittadino, a sognare le grandi foreste e le sterminate praterie americane, nate poco distante dalla nostra povera bottiglieria, in uno scantinato che per una intera generazione divenne la Disneyland di Torino.

Anche questaè storia, per far capire ai nostri figli e nipoti quanto possa aver significato per la nostra fanciullezza quel mucchio di giornaletti impolverati che ancora sfoglio e di cui mai mi priverò perchè come migliaia di persone che hanno ormai da tempo i capelli bianchi come i miei, sarebbe come buttar via i sogni che ci hanno permesso di vivere una bellissima infanzia, facendo nostri e mantenendo saldi i principi morali dei nostri eroi.

Grazie EsseGesse.

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