Il metodo di Nicolas Appert poi perfezionato da Cirio fu ideato per sfamare le truppe durante le campagne militari
Ogni giorno abbiamo sempre più a che fare con i cibi confezionati in scatole di latta o plastica per alimenti, in un panorama ormai vario di metodi di preparazione e conservazione degli alimenti, ma molti di noi si sono mai chiesti, chi e dove, per primi almeno in Europa, ebbero l’intuito di distribuire il cibo in questo modo. Ebbene anch'io , per molto tempo non mi sono posto il problema, anche perchè, paradossalmente, le cose ed i gesti più comuni di ogni giorno, sono dati sempre per scontati, tanto da non incuriosire la mente umana, abituata a pensare sempre all’oggi, qualche volta al domani, ma quasi mai a ritroso nel tempo.
Le origini del cibo in scatola hanno una precisa connotazione storica, vale a dire i primi anni del 1800, quando l’Imperatore francese Napoleone Bonaparte, impegnato in guerre e conquiste in tutta Europa, ha l’esigenza di fornire le sue truppe di bravi soldati, con cibi facili da preparare, svelti da consumare e possibilmente di lunga conservazione. Nasce in quel periodo bellico, la logistica militare a supporto dei soldati, cosa che mai era stata pensata e preparata prima di allora, che comprendeva un’organizzazione a tutti i livelli militari che aveva lo scopo di mettere nelle condizione i combattenti, di pensare solo alla “pugna” e non a come procurarsi da vivere sui campi di battaglia. Prima di allora, i soldati regolari o mercenari che fossero, erano costretti a reperire il poco cibo che trovavano sul posto in cui erano mandati a combattere, con inevitabili tragedie per gli abitanti, le loro proprietà e le loro stesse vite, minacciate da soldataglia sfinita e spesso allo sbando, esaperata, arrabbiata e quindi crudele.
Napoleone aveva tracciato una linea organizzativa che mai prima di allora era stata pensata, ossia uno studio approfondito dell’arte della guerra applicata al mantenimento dell’esercito in qualsiasi luogo e condizione, operazione questa che doveva quindi essere un banco di prova per molti e variegati profili di studiosi ed esperti nelle varie materie, non solo militari, che avevano il preciso compito di inventare tecniche e materiali nuovi per far fronte alle esigenze richieste da un Imperatore che aveva bisogno di fare le cose in fretta e bene. Per affrontare la problematica della conservazione del cibo, che doveva sopportare lunghi viaggi, temperature diverse e peripezie di ogni sorta durante gli spostamenti, fu chiamato ad occuparsi della cosa un certo Nicolas Appert, studioso francese che tra il 1795 ed il 1806, mise a punto una tecnica di conservazione in scatola che prevedeva di eliminare l’aria dai contenitori degli alimenti per poi immergerli in acqua bollente per una bollitura, con temperature che variavano in base al contenuto e dell’alimento.
Tale tecnica, chiamata appunto “appertizzazione“, fu apertamente applaudita, tanto da avere l’approvazione dello stesso Napoleone che autorizzò quindi la messa a punto di questo sistema a favore dell’apparato militare preposto alla sussistenza, anche se la forma empirica, a causa delle non approfondite conoscenze mediche del suo inventore, lasciavano ancora molti dubbi.
Il nemico da sconfiggere erano i batteri, un regno di microrganismi ai più sconosciuti, che potevano svilupparsi all’interno della latta o scatola e che poteva dare origine al famigarato “botulismo”, una malattia che poteva portare alla morte per paralisi respiratoria.
Malgrado la sconfitta militare a Waterloo che mise termine alle guerre napoleoniche, l’esercito francese ebbe tempo e modo di applicare sul campo questa tecnica di conservazione, che anni dopo sarà materia di studio e rielaborata da diversi scienziati, non ultimo Pasteur, che avviò un processo simile, conosciuto ancora oggi come “pastorizzazione”, un metodo che fu sperimentato sui vini francesi e che consentì a questi di essere esportati in tutto il mondo: famoso fu l’esperimento effettuato su una nave militare che ebbe il compito di trasportare su rotte oceaniche il vino rosso di Bordeaux in bottiglie di vetro e pastorizzate, attorno al 1867, per capire e quindi provare che il prodotto, malgrado il viaggio e sottoposto a temperature estreme, poteva giungere a destinazione senza aver perso le origini organolettiche di cui era provvisto alla partenza.
In Italia il metodo di conservazione dei cibi in scatola ebbe origine da un giovanissimo astigiano, che pensò bene di mettere in pratica gli insegnamenti del precursore della sperimentazione: Nicolas Appert. Il ventenne che ebbe questo intuito si chiamava Francesco Cirio ed era nato a Nizza Monferrato il 24 dicembre 1835. Figlio di un mediatore di granaglie che si trasferì, un anno dopo la nascita di Francesco, nel comune di Fontanile, oggi un agglomerato urbano che conta circa 500 abitanti, per intraprendere l’attività di commerciante di olio, pane e pasta, non ebbe la fortuna sperata nella nuova iniziativa commerciale, tanto che dovette nel 1845 trasferirsi ad Alessandria con altri due figli piccoli, Luigi e Giovanni Battista. In quella città, dove molti contadini e braccianti piemontesi si erano trasferiti per la grande richiesta di manodopera attorno alla ristrutturazione della monumentale cittadella, fortemente provata nelle sue strutture dall’assedio francese del 1746, il giovanissimo Francesco crebbe in un clima di estremo bisogno, ma anche per questo, ebbe modo di dar vita al suo spirito imprenditoriale, che si poteva definire eccezionale. Già all’età di 11 anni, partiva da Fontanile per acquistare nella vicina Nizza Monferrato, cesti di frutta e verdura che poi, aiutato dal fratello Ludovico, rivendeva alle famiglie dei villaggi vicini, andando casa per casa, bussando e vendendo.
Quando si trasferì a Torino qualche anno dopo, usò lo stesso sistema, acquistando i prodotti alimentari nel mercato di Porta Palazzo a fine giornata a prezzi scontati, per poi rivenderli con il metodo che oggi conosciamo con il nome di “vendita porta a porta” fino a tarda sera, cosa questa che nel breve periodo lo porterà ad essere battezzato e conosciuto nelle borgate della capitale sabauda come “’l re ad Porta Palass”, giustificando così i suoi futuri biografi che lo considerarono “un magnifico analfabeta”, tanta era la voglia e la capacità lavorativa di questo giovane senza istruzione alcuna.
La mole di lavoro che Cirio in breve tempo riuscì a creare nel settore della vendita dei prodotti ortofrutticoli, lo obbligò a trovare il modo di conservare i prodotti per poterli immettere sul mercato freschi e con le loro caratteristiche nutritive intatte, senza alterare il potere vitaminico dei medesimi. Le antiche ghiacciaie scavate nelle viscere di quella porzione di Torino che si affacciava al borgo del “balun” e che rappresentavano per i “mercandin” l’ancora di salvataggio per i prodotti che arrivavano dalla campagna piemontese e che bisognava conservare al fresco, non bastavano alle bisogna del giovane Cirio, il quale si adoperò per studiare e migliorare il metodo inventato da Appert.
I suoi primi esperimenti di conservazione in latta con il metodo dell’aspirazione dell’aria e conseguente bollitura in acqua, furono sperimentati su confezioni di piselli. Per fare questo, il giovane Cirio, fece ricreare da un vetraio astigiano, gli stessi recipienti creati 50 anni prima dal suo maestro francese, vale a dire dei contenitori in vetro, simili o quasi, ai vecchi “litri” di vino usati per il loro commercio dell’epoca, grandi boccioni di vetro scuro a collo,largo e tagliato, che veniva chiuso ermeticamente con un tappo di piombo, in modo che la sua pesantezza potesse aiutare a trattenere sul fondo della caldaia lo stesso recipiente in vetro, evitando che questi potesse affiorare in superfice, vanificando quindi il lavoro ed il tempo richiesto per l’immersione in acqua bollente.
I risultati furono soddisfacenti, i piselli mantennero le loro caratteristiche a fronte di lunghi viaggi su carri traballanti su strade sconnesse, sfidando e vincendo i diversi climi nei luoghi in cui erano destinati, ed in quel momento nasce il mito di Francesco Cirio.
Era il 1856, ed in via Borgo Dora al numero civico 34, un fumante camino indicava il luogo dove, due caldaie sistemate dal ventunenne Francesco Cirio, avrebbero cambiato il mondo dell’alimentazione. Il giovane astigiano, senza inventare nulla, ma basandosi sulle sole prove pratiche sulle quali aveva lavorato Nicolas Appert, aveva trovato il modo di conservare quei prodotti che, preparati per tempo, avrebbero soddisfatto i palati dei clienti invernali, ai quali erano destinati, cambiando il modo di pensare ed anche di mangiare: la verdura e la frutta di stagione si poteva consumare anche nel periodo freddo, senza alcun rischio per la salute.
Come sempre, anche in questa occasione, Casa Savoia ci mise lo zampino: consigliere del giovane Cirio in quel periodo, ma anche grande amico, troviamo tal Teofilo Barla, che le cronache indicano come cuoco Reale. Nel 1854, un suo illustre collega e compagno di lavoro, ed aiutante capo-cuoco e pasticcere di Re Carlo Alberto e del figlio Vittorio Emanuele II, dal nome di Giovanni Vialardi, scrisse un affascinante e completo trattato di cucina, pasticceria moderna e relativa confettureria. Edito dalla tipografia torinese Favale, esso a pagina 547 recita: “la confetteria è un’arte scientifica, di necessità quasi indispensabile per un buon maestro di casa onde preparare e conservare i confetti, melate, sciroppi, composte, gelatine, conserve, caffè, the, liquori, ben disporre la frutta, ecc.
Esso doveva badare di usare utensili metallici, distagnati soltanto per la preparazione dello zucchero, per la preparazione dei frutti, e stagnati per tutto ciò che è acido, ma finita la preparazione o cottura, si tolgono, si lasciano raffreddare, e si conservano in vasi di terra verniciata bianca, o maiolica, o porcellana o di vetro che sono i migliori per la salute“.
Cirio usò questi ultimi per i suoi piselli e quella piccola attività nata in quella primavera di quel lontano 1856 è oggi una delle industrie alimentari più conosciute nel mondo, facente parte del gruppo Conserve Italia con sede a San Lazzaro di Savena in Emilia Romagna.
In questi giorni di forti piogge, il comune di San Lazzaro, alle porte di Bologna, ha subito ingenti danni causati da esondazioni del torrente Savena e purtroppo si devono registrare anche delle vittime, in particolare un uomo di 44 anni annegato mentre cercava di avviare una pompa in un pozzo all’interno del suo magazzino.
Un motivo in più per abbracciare una grande popolazione in difficoltà ma che sta dimostrando una meravigliosa dignità.